Bianco e rosso i colori del nuovo film di Giacomo Campiotti

Il regista di Varese ha presentato a Roma insieme all'intero cast Bianca come il latte, rossa come il sangue il film ispirato all'omonimo romanzo di Alessandro D'Avenia che vede impegnato il giovane Filippo Scicchitano nei panni di un ragazzo alle prese con l'amore e con il lato tragico della vita. A guidarlo in questo viaggio di maturazione un intenso Luca Argentero nell'inedita veste di insegnante.

Si parla di adolescenza, di spensieratezza, di scuola, d'amore ma anche di malattia e di morte nel nuovo film di Giacomo Campiotti. Interamente girato in una vivida e colorata Torino, Bianca come il latte, rossa come il sangue è però un film tutt'altro che triste. Il sesto lungometraggio per il cinema di Campiotti arriva dopo una lunghissima gavetta televisiva e un esordio che risale al 1989, anno in cui uscì nelle sale Corsa di primavera, presentato con successo alla Settimana della Critica alla Mostra del cinema di Venezia e vincitore del Festival di Giffoni come miglior film. Seguirono nel 1994 Come due coccodrilli, con Giancarlo Giannini (che vinse il David di Donatello come Migliore Attore non protagonista), Valeria Golino e Fabrizio Bentivoglio, uscito in sordina nelle sale italiane ma molto apprezzato all'estero tanto da arrivare ad una nomination come miglior film straniero ai Golden Globes e poi seguirono nel 1996 il documentario Ritratti d'Autore su Ermanno Olmi, Il tempo dell'amore nel 1999 e nel 2005 il dramma Mai più come prima. Protagonista di questo insolito dramma sentimentale il giovane Filippo Scicchitano, al suo terzo film da protagonista dopo gli exploit 'veneziani' con Scialla! (stai sereno) di Francesco Bruni e Un giorno speciale di Francesca Comencini, affiancato qui da due giovani protagoniste Aurora Ruffino e Gaia Weiss, da Luca Argentero e dai bravi Cecilia Dazzi e Flavio Insinna nei ruoli divertentissimi dei genitori ansiosi. Bianca come il latte, rossa come il sangue è prodotto dalla Lux Vide di Matilde e Luca Bernabei ed è il frutto del lavoro di scrittura di Fabio Bonifacci a quattro mani con l'autore dell'omonimo libro Alessandro D'Avenia cullato sul grande schermo dalla potente colonna sonora concepita intorno al pezzo forte, il brano Se si potesse non morire presentato dai Modà all'ultima edizione del Festival di Sanremo 2013. In occasione dell'uscita del film, distribuito nelle sale da 01Distribution da giovedì 4 aprile, il gruppo musicale si esibirà dal vivo sul palco del The Space Moderno di Piazza della Repubblica prima dell'anteprima del film per una serata di musica e cinema dedicata ai fan. L'evento sarà proiettato in diretta, grazie ai potenti mezzi satellitari di Sky, in centinaia di cinema in tutta Italia.

Come ha affrontato il ruolo di questo ragazzo che si ritrova a fare i conti con la dura realtà della vita?
Filippo Scicchitano: Ho affrontato il ruolo con molta compassione nei confronti del mio personaggio, ho trovato molto bella la sua immaturità, la sua ingenuità e la sua forza interiore. Non avevo letto il libro quando mi è stato affidato il ruolo e ho trovato molto interessante l'analisi che si fa in questa storia della malattia e della morte. Era la prima volta che mi trovavo a recitare in un film tratto da un libro quindi ho cercato subito di trovare dei punti di contatto con la storia originale mettendoci anche qualcosa di me.
Come ha affrontato Luca Argentero il difficile ruolo di insegnante?
Luca Argentero: Mi sono molto immedesimato nel professore sognatore che dichiara il suo amore verso la sua professione. Solo se dimostri di avere passione in quel che fai gli altri riescono a godere dei tuoi suggerimenti e ti ascoltano più volentieri. Quella che c'è nel film è una versione molto contemporanea del vecchio professore, una figura che io amo chiamare 'educatore' perché è una figura che viene a contatto con i ragazzi in un momento assai delicato delle loro vite. Quando ho potuto affiancare Alessandro D'Avenia durante le sue lezioni con i suoi studenti ho notato che le domande dei ragazzi erano estremamente precise e collegate fortissimamente alla vita reale. Mi ha colpito che bisogna essere estremamente attenti a quel che si dice, quando sei dietro una cattedra ad insegnare non ti puoi permettere indecisioni, insicurezze, perché il dubbio genera immediatamente sfiducia e il rapporto non è sempre facilmente recuperabile.

Come hanno accolto i suoi studenti la trasposizione del libro in un film?
Alessandro D'Avenia: I ragazzi che mi hanno ispirato nella stesura del libro (studenti di una prima classe superiore di Milano ndr) sono stati i primi a leggere il manoscritto che poi sarebbe diventato un best-seller e il 4 aprile saranno qui a Roma con me per vedere il film al cinema nell'anno della maturità. Da un'idea piccola siamo arrivati a un film esattamente alla stessa maniera in cui loro sono cresciuti e anno dopo anno sono arrivati all'anno della maturità. E' una bella sensazione per me che ho sempre visto tutto come il frutto di un lavoro di squadra.

Perché abbiamo dovuto attendere otto anni per un suo ritorno al cinema?
Giacomo Campiotti: Ho fatto diversi film per la tv nel frattempo, film che ho molto amato e dei quali vado molto fiero, nel mio lavoro cerco di distinguere unicamente tra storie che mi interessano e potenzialmente interessanti da quelle che invece non mi interessano. Non considero la tv come la serie B, in questo momento ad esempio sto girando un'altra fiction e ne sono entusiasta. Sono stato molto contento che Matilde e Luca Bernabei abbiano pensato a me per la regia di questo film, io ho letto prima il copione e poi il libro e li ho trovati perfetti per me, totalmente nelle mie corde. Ho fatto molti film sull'adolescenza, un'età della vita che sento vivissima in me, l'età in cui si iniziano a fare i conti con i sogni e con la realtà, in cui si inizia a capire che i problemi della vita non devono farci abbandonare i sogni. Mi sono molto divertito ad usare un linguaggio diverso da quello delle fiction.

Non è l'unico film che in questo periodo pone i giovani di fronte agli interrogativi sul senso della vita e sulla ricerca di Dio. Qual è la sua riflessione a questo proposito?
Giacomo Campiotti: Non credo sia un caso, penso che un aspetto positivo, se così possiamo definirlo, di questa crisi possa essere che le persone di fronte alle difficoltà vanno un po' più in profondità, al di là dei problemi sociali che viviamo è fuori da ogni dubbio che siamo in un momento della storia in cui abbiamo voglia di cercare qualcosa di più profondo e meno superficiale. Davanti alla malattia e alla morte ci si pongono domande retoriche cui non troviamo risposta, tanto meno le trovano i ragazzi. Trovo solo assurdo che non si sia trattato prima nel cinema italiano un argomento così importante.

Questo film rappresenta il vostro debutto nella produzione cinematografica dopo tante fiction tv, com'è andata questa nuova esperienza?
Matilde Bernabei: Ci voleva una storia bella per farci fare il grande passo e quando abbiamo letto il libro di Alessandro abbiamo subito capito che era quella giusta. In Bianca come il latte, rossa come il sangue si parla di dolore e di morte ma tutto è pieno di vita, siamo di fronte ad un inno alla vita. Abbiamo iniziato il nostro cammino cinematografico rivolgendoci ad un target giovanile, che poi è quello che muove tutto il mercato. Volevamo metterci alla prova perché secondo noi, se sai fare il tuo lavoro nella comunicazione audiovisiva a tutti i livelli non può mancare il cinema, il risultato ottenuto secondo noi è molto buono e lo abbiamo raggiunto grazie ad un product placement che molto si sposava con il messaggio del film, un mezzo che se usato a dovere e nel rispetto del pubblico può far raggiungere al cinema italiano grandi risultati.
Luca Bernabei: Dopo vent'anni di carriera era un punto d'arrivo per noi e viviamo la giornata di oggi con grande emozione. Siamo contenti di aver fatto questo viaggio insieme a Giacomo, un autore con il quale abbiamo realizzato film internazionali che hanno girato il mondo e che noi consideriamo come un Peter Pan, un uomo che vive le emozioni come un ragazzo, un regista dotato della tenerezza e dell'entusiasmo tipico dei ragazzi che è anche in grado di trasmetterlo a tutti quelli che lavorano con lui.
Come ha affrontato lo sceneggiatore la trasposizione del romanzo? Pensa di essere riuscito a non deludere i tantissimi fan del libro?
Fabio Bonifacci: Ho dovuto per forza di cose cambiare qualcosa rispetto al libro ma sono convinto di averne mantenuto intatto lo spirito. Se ci sono riuscito è perché ho avuto la possibilità di confrontarmi continuamente con l'autore. Con questo film sento di essere riuscito ad uscire da un genere e di aver creato un mix tra dramma e commedia come fa alla fine dei conti la realtà. La nostra esistenza non è né una commedia né un dramma, la realtà che viviamo mescola tutto senza ordine ed è proprio questo quello che abbiamo provato a fare noi.