Berberian Sound Studio: Toby Jones, artigiano dell'horror a Locarno

Nostalgia di Fulci, Bava e Lenzi? Toby Jones presenta in concorso a Locarno una pellicola metacinematografica che celebra il mito dell'horror artigianale.

Non è un horror, ma parla di un horror. E' ambientato in uno studio di doppiaggio e post-produzione e ci svela tutti i meccanismi artigianali alla base di tanti B movies e non solo che venivano utilizzati prima della rivoluzione digitale. Si chiama Berberian Sound Studio, titolo già evocativo di per sé. Il film, diretto da Peter Strickland e presentato in concorso a Locarno, è ambientato nel 1975 in uno studio italiano di post-produzione in cui si doppiano film di bassa qualità a poco prezzo. Lo si capisce dal team di figure scalcinate, registucoli, attrici prese dalla strada, segretarie scortesi e budget ridottissimi, assemblato intorno allo studio in cui Santini sta doppiando e sonorizzando il suo horror incentrato sulla caccia alle streghe. In questo bailamme finisce il tecnico del suono Gilderoy, timido e taciturno inglese abituato alla professionalità anglosassone e al mondo isolato dei documentari. Berberian Sound Studio è un film che parla di cinema e parla della vita, riuscendo a dare un'immagine incredibile del modo artigianale di produrre un film negli anni '70. Un'opera claustrofobica ed eccentrica ambientata unicamente all'interno dell'asettico studio il cui nome dà il titolo al film. Il bravissimo Toby Jones arriva a Locarno per presentare il film insieme al regista e a parte del cast italiano del film.

Peter, da dove nasce l'idea di fare un film basato sul suono?
Peter Strickland: Non essendo italiano ho cercato di ricreare un universo che ho sempre amato e rispettato: quello dell'horror artigianale degli anni '70. La cosa affascinante dell'epoca era la sperimentazione sia in campo cinematografico che musicale. Mi riferisco ad autori come Luciano Berio o Karlheinz Stockhausen che sono stati un'importante fonte di ispirazione.

Toby, il tuo personaggio mi ricorda una sorta di alieno prigioniero di un altro mondo.
Toby Jones: L'aspetto più interessante del mio personaggio è il fatto che sia un inglese calato in un contesto latino. Parlare non è la sua attività principale, si sente diverso e vede diverso l'atteggiamento di coloro che lo circondano. Il modo di comportarsi, il calore, la vivacità italiani sono profondamente diversi dalla suo sofferenza interiorizzata.

Nel film ci sono numerosi attori italiani. Voi che siete la rappresentanza italiana qui a Locarno, potete raccontarci la vostra esperienza?
Cosimo Fusco: Per me è stato un grande onore partecipare a un progetto del genere perché non appena ho letto il copione sono stato catturato dalla genialità dello script. Non ho nemmeno guardato chi fosse il regista perché volevo fare il film a ogni costo. Per me è stata un'esperienza in crescendo. Sono arrivato sul set un po' inconsapevole e poi mi sono calato nel progetto man mano. La realtà raccontata nel film è fedele al funzionamento dell'industria negli '70. Ora non viviamo un momento felice a livello produttivo, ma all'epoca negli studi di post-produzione si vivevano le stesse dinamiche che vediamo nel film. C'era un po' di sciovinismo soft, c'era l'amore per il cinema, c'era la passione per un lavoro artigianale.

Antonio Mancino: Quando ho fatto il provino ero molto dubbioso perché vivevo a Londra da poco e parlavo un inglese pessimo. Mi è stato assicurato che era proprio quello che i produttori cercavano. Per calarmi nel mio personaggio ho dato il peggio di mé, mi sono comportato male, ho fatto cose che nella vita non faccio. E' stato tutto molto semplice perché eravamo circondati da belle ragazze. La cosa curiosa è che a me gli horror non piacciono, ma questo non è un horror. E' un progetto particolare ed è stata una bellissima esperienza.

Toby, siamo abituati a vederti interpretare piccoli ruoli in film importanti. Cosa si prova a recitare il ruolo del protagonista in un'opera così curiosa?
Toby Jones: Non appena ho letto la sceneggiatura ho capito che volevo fare questo film.Questa è una visione poetica di un mondo a parte.

Visto che nel film interpreti un esperto di sonorizzazione, ti sei mai sentito doppiato in un'altra lingua?
Toby Jones: In realtà no, ma alcuni miei amici hanno visto Il velo dipinto in Spagna e mi hanno detto di non avermi mai sentito parlare in un modo così sensuale come in spagnolo.

Quasi sono stati i registi che ti hanno ispirato a livello visivo nella realizzazione di Berberian Sound Studio?
Peter Strickland: Mario Bava, Dario Argento, Lucio Fulci, ma è il cinema europeo in generale il mio riferimento principale. Il modo in cui i film degli anni '70 sono montati, la facilità con cui scorrono è incredibile. Era ciò che volevo ricreare nel mio film.La musica dell'epoca mi ha ispirato molto, ma anche le copertine dei dischi dell'epoca, per esempio quelli di Franco Battiato e Morricone.

Chi è Santini?
Peter Strickland: E' basato su di me.

Quale è la peculiarità di Berberian Sound Studio?
Peter Strickland: Molto di ciò che vediamo al cinema è basato sull'immaginazione. Il pubblico è molto più intelligente di quanto si creda e spesso rischia di non avere niente perché si investe in storie di facile appeal. Io ho preferito concentrarmi su un'epoca affascinante, un'epoca in cui c'erano film che potevamo guardare per ore senza annoiarci, era tutto così interessante. Così ho cercato di realizzare qualcosa che differisse dal presente, che seguisse una prospettiva diversa.