Benny Chan porta a Roma la sua 'Tempesta Bianca'

Il film di chiusura del festival di Roma, l'ottimo noir hongkonghese The White Storm, è stato presentato dal regista Benny Chan e dai tre interpreti in un breve, ma partecipato, incontro stampa.

Non poteva esserci una chiusura migliore, per questa ottava edizione del Festival del Film di Roma, di quella di The White Storm. Uno straordinario, toccante omaggio al noir hongkonghese degli anni '80, che mette insieme in un solo film John Woo, Ringo Lam e Johnny To, che ridimensiona i pur eccellenti Infernal Affairs (e derivati) per consegnare allo spettatore un'opera che guarda al passato (e che passato) con i mezzi e le potenzialità del futuro. Benny Chan, alla faccia di chi lo ha considerato, sbrigativamente, niente più che un onesto mestierante, si candida a giocare un ruolo da protagonista nel cinema di Hong Kong che verrà; in misura ancora maggiore di quello già giocato, egregiamente nei decenni passati.
In una conferenza stampa breve, ma molto partecipata, in cui il clima da fine festival ha giocato anche qualche tiro mancino (comprensibile) all'ottima traduttrice, il regista ha spiegato genesi e particolarità del suo film, insieme ai protagonisti Louis Koo, Nick Cheung e Sean Lau.

Non soltanto il film ha un'ottima trama: quello che si vede bene è l'affetto che lega i tre personaggi. I tre attori sono molto affiatati. Come ha fatto a gestire così bene questa componente?
Benny Chan: Inizialmente volevo fare un film d'azione, con tre persone che combattevano contro la mafia e la droga. Durante il film, però, ho cambiato idea, e ho deciso di focalizzarmi sulla relazione e sull'affetto tra tre persone, molto legate tra loro. Credo che alla fine sia stata una buona scelta.

Questo film sembra, da molto tempo a questa parte, la cosa più vicina a un film di Chang Cheh. In che misura è presente l'omaggio ai maestri degli anni '60 e '70?
Io spero che in un futuro possiamo fare ancora meglio, nell'omaggiare quei maestri: quegli anni sono stati davvero molto importanti, e noi vorremmo imparare dalla loro influenza. Spero che da loro imparino anche i miei figli, che sono la generazione del futuro.

Più che l'azione, nel film a coinvolgere è l'amicizia tra i tre personaggi. I tre attori sono davvero così amici, anche nella vita?
Sean Lau: E' stata una fortuna che lo abbiamo fatto proprio noi tre: eravamo già buoni amici, abbiamo una profonda amicizia anche nella nostra vita privata.
Nick Cheung: Io sono entrato nel film solo successivamente, ma ho voluto cogliere al volo l'opportunità. Eravamo amici, e questo è stato grande un vantaggio.

Ognuno fa una scelta finale diversa, alla fine del film. Come avete fatto a gestire così bene quella scena?
Louis Koo: E' il destino che ci manipola. Credo che, nel film, il mio personaggi non ha sbagliato: è stato casomai il destino a decidere per lui.
Sean Lau: Il mio, in realtà, è un ruolo totalmente passivo: io vorrei camminare per la mia strada, vorrei stare con mia moglie, ma non mi è possibile. Sembra che il mio ruolo mi abbia definitivamente allontanato da lei, ma lei alla fine mi perdona.
Nick Cheung: La scelta di ciò che facciamo non dipende da noi: non c'è neanche una scelta veramente definita, quello che succede alla fine non corrisponde a quello che volevamo. Tutti e tre, comunque, abbiamo un unico vero obiettivo: uccidere il capo della gang criminale.

Alla fine del film, due personaggi muoiono, mentre uno solo resta in vita. Cosa hanno pensato gli altri due attori di questa scelta? Benny Chan: Niente di particolare. Il film dà sostanzialmente un messaggio: avere comprensione e resistere. Quello che viene fuori è che morire non è la cosa peggiore: la cosa peggiore è affrontare una difficile situazione.

C'è qualche attore italiano che la colpisce particolarmente, e che utilizzerebbe in un suo film?
Beh, dovrebbe prima farmeli conoscere, perché sinceramente non li conosco! Sicuramente, per usarli in un mio film, dovrebbero essere migliori dei nostri.