Recensione 28 giorni dopo (2002)

Horror apocalittico piuttosto deludente e convenzionale con qualche spunto intrigante, ma privo di particolari momenti d'interesse.

Apocalisse londinese

E' estate, è ufficiale! Cosa mi porta a questa brillante deduzione? Il calendario? La temperatura asfissiante? Le recenti uscite nelle sale? E si, siamo infatti alle solite. Dopo che la grossa macchina cinema ci ha forniti del suo ultimo virulento scossone pre-estivo con il rumoroso Matrix Reloaded, si è progressivamente spenta (inconsapevole forse dell'invenzione dei condizionatori) per sommergerci dei prodotti tipici dell'estate: remake a valanga, horror come se piovesse e un buon numero di film cosiddetti sfigati, anche se non sempre l'orripilante etichetta è indice di cattiva qualità (basti pensare che a fine mese uscirà Dogma di Kevin Smith e di certo l'ingresso al cinema sarà incentivato dal regalo di un ombrellone e da un sincero attestato di stima del cast tecnico e artistico).

Ma torniamo a bomba e veniamo ai fatti, che sia giusto o no è una legge del mercato cinematografico: uscire ora nelle sale non rappresenta un gran successo e ci dispiace per il nuovo film del tanto amato Danny Boyle, ma dovrà farsene una ragione. Sentivamo la sua mancanza? Alcuni si, altri no, forse dopo la visione di questo 28 giorni dopo molti di meno lo attenderanno al prossimo film che probabilmente uscirà a ferragosto e solo in montagna.
Questa volta siamo decisamente e sorprendentemente in zona horrore il regista di Trainspotting non ci risparmia niente, deliziandoci o disgustandoci (fate voi) con scene spesso forti quanto gratuite.

Ma il paziente lettore, sicuramente desidera qualche ulteriore coordinata. Se soprassediamo sull'irrelevante qualità recitativa e sulla trama (già enunciata in sede di scheda) apocalittica e convenzionale, non possiamo non affibbiare gli stessi aggettivi allo sviluppo del plot, che è quello che in fondo ci si deve aspettare da un film dove un individuo si addormenta in un'ospedale e si ritrova ventotto giorni dopo in un panorama desolato, dove gli unici abitanti sopravvissuti al virus tentano di combattere con i soliti zombi di turno.

Il maggior motivo d'interesse del film va intravisto, invece, nel recupero di un certo immaginario horror tipico del cinema apocalittico d'inizio anni 80'. Nonostante, infatti, le coordinate narrative siano quelle di La notte dei morti viventi e de L'invasione degli ultracorpi e i riferimenti letterari siano quelli della fantascienza inglese Ballard e Wyndam su tutti, le suggestioni visive si rifanno decisamente a film come Occhi bianchi sul pianeta terra e Mad Max.

Va probabilmente vista in questo senso (oltre che per motivi economici se non anche di trend attuale del genere) la scelta di utilizzare tecniche di ripresa digitali. E' lo stesso Boyle a chiarirci questa scelta: Il formato è sembrato appropriato per un panorama post-apocalittico. Questo è per lo più un film urbano, a parte la visita in campagna, e io penso che il sistema video digitale ha una granulosità che è perfetta per un film 'cittadino'. Inoltre, le cineprese digitali permettono di filmare anche con pochissima luce e l'idea generale era quella di cercare di vivere e di filmare come se noi stessi fossimo dei sopravvissuti.

Che dire in conclusione: se siete proprio appassionati del genere ed io lo sono stato e lo sarei se i prodotti fossero migliori, un salto al cinema fatelo, sperando non usciate pensando "ridateci Cassandra Crossing". No Cassandra Crossing no!
Non prendetemi sul serio, è estate, non dimenticate!