Antonio Banderas presenta a Berlino El camino de los Ingleses

L'attore/ regista presenta nella sezione Panorama il suo secondo film, sette anni dopo Pazzi in Alabama.

Ha suscitato un discreto interesse presso la stampa accreditata il nuovo film di Antonio Bandereas El camino del los Ingleses, presentato al 57. Festival di Berlino nella sezione Panorama. In conferenza stampa, il regista è accompagnato da quattro dei suoi giovani protagonisti.

Antonio, El camino de los Inglese racconta un'estate a Malaga alla fine degli anni '70, ed è un film molto personale. Come mai crede che sia stato questo il momento della sua vita per fare un film così nostralgico?

Antonio Banderas: La mia strada è iniziata là, quando avevo 17-18 anni. Non furono il periodo spensierato che rappresentano per molti, furono anni difficili per me, complessi e confusi, anni di scoperte belle, dolose, sconvolgenti. In Spagna uscivamo da un periodo politico particolarmento delicato, anche se nel film non si fa menzione di queste cose. Per me tornare a qei giorni ha significato molto. Era interessante ripensare a quei tempi oggi, ed è anche un modo per offrire un tributo a chi non ha mai attraversato il camino de los ingleses.

Victoria Abril wl film dice che il "camino del los ingleses" è un'illusione, ma lei ne è venuto fuori, e ha aperto la strada a tanti altri attori ispanici a Hollywood. Come mai ora si dedica alla regia?

Antonio Banderas: Ero un po' stanco di fare film che non mi lasciavano esprimere quello che avevo dentro. E' quello che abbiamo fatto in questo film, anche prima di leggere il romnanzo avevo avuto incontrato l'autore e abbiamo voluto tagliare tutti i legami con l'esterno mentre lavoravamo a questo progetto. Il film rappresenta qualcosa di fatto interamente in libertà e quindi per me è un successo di per sé. Abbiamo fatto questo film nel modo in cui sentivamo che doveva essere fatto.

Qualcosa nel film ricorda il cinema di Almodovar, riconosce questa influenza?

Antonio Banderas: Non è un'influenza conscia, non ho voluto imitare nessuno, ma d'altronde ai nostri tempi non si può più creare completamente dal nulla, quindi inconsciamente vai a prendere cose che ti hanno colpito. Ho fatto 76 film e ho un sacco di registi e colleghi che mi hanno influenzato. Io ho sempre avuto interesse per qullo che facevano i registi.
Le immagini surreali vengono dall'Andalusia, quella è la mia vita, sono cresciuto tra i danzatori di flamenco, è la mia storia e devo essere sincero. Cercavo difare un film che fosse legato alla mia terra più che ad altri autori.

Quando hai iniziato a desiderare di diventare regista?

Antonio Banderas: Ho pensato di diventare regista quando ho capito di non voler discutere i miei progetti con nessuno. Da attore non devo intervenire sulle scelte del regista; essere un regista, invece, significa esprimere il mondo così come lo sento.

Questo suo secondo film è molto diverso dal primo, cosa è cambiato?

Antonio Banderas: Pazzi in Alabama sembra forse un film indie, ma non lo è. E' prodotto da uno studio, che ha esercitato una certa influenza su di me in quell'occasione. C'era una scena di violenza razziale con a commento una bellissima canzone di Ray Charles, e io avevo visto che la reazione a quel contrasto nel pubblico ea quella che volevo. Ma mi forzarono a modificare quella sequenza. Non è un film completamente mio. Con El camino del los ingleses, ho avuto suggerimenti dai miei collaboratori ma mai imposizioni.

Vorresti avere 18 anni oggi? Per le generazioni di oggi le cose sono diverse?

Antonio Banderas: Questa generazione è più fortunata e più felice, e la qualità dei giovani attori di oggi è eccezionale. Quando io arrivai a Madrid nel '79 non c'era lavoro, era difficilissimo fare un film e non c'era molto mercato. Anche politicamente era un momento difficile, di grandicambiamenti, Poi arrivò Almodovar e cambiò la faccia del cinema spagnolo, e oggi ci sono tanti registi che devono molto a lui.
Almeno oggi i ragazzi hanno la possibilità di essere sullo schermo con serie TV e vari programma non tutti di qualità, ma almeno lavorano e sono pronti quando arrivano al cinema.
Di Malaga ricordo soprattutto il complesso di inferiorià che avevamo e la necessità di superarlo, sognare non era una cosa buona, sicuramente anche il regime aveva le sue responsabilità, la società di allora ne era una diretta conseguenza. Quando mio padre capì che facevo sul serio, che volevo diventare attore, voleva letteralmente uccidermi.