Recensione Blade Runner (1982)

Blade Runner ha rappresentato una rivoluzione per il moderno cinema di fantascienza. Invece di avventure spaziali sprizzanti spirito dei pionieri, questa pellicola ci offre un mondo degradato, dove la poesia combatte per rimanere in vita.

Angeli caduti

Blade Runner rappresenta forse una nuova frontiera del cinema di fantascienza, un nuovo scenario per le avventure future del genere umano. Non più lo spirito pioneristico della Terra, ma la desolazione causata dalla follia degli uomini e dall'utilizzo distorto della tecnologia. E sebbene il movimento cyberpunk venga individuato in un momento posteriore, con l'uscita de Il neuromante di Gibson, non si può negare che le basi di questo filone siano state gettate proprio da Philip K. Dick, autore di "Do androids dreams of electric sheep?", da cui fu tratto Blade Runner.

Rick Deckard (Harrison Ford), poliziotto-killer poco amante dei suoi stessi simili, si muove su di una Terra post-apocalittica, battuta perennemente da piogge radioattive. Il suo compito è ritirare (eufemismo per indicare l'uccisione) androidi che si sono ribellati e che sono fuggiti dalla loro schiavitù. Ma Deckard è un uomo disilluso, stanco di sopprimere creature viventi a sangue freddo, creature che forse sente più simili a sè dei suoi stessi simili, con la loro voglia di sopravvivere e con la loro scarsa empatia. E' però costretto a compiere il suo sporco lavoro e a scontrarsi con l'ultima generazione di androidi, i Nexus 6. Forti, intelligenti, agili, i Nexus 6 mal tollerano la loro condizione di sfruttati. Non possono sopportare di essere in condizione di schiavitù, soprattutto nei confronti degli uomini che sono loro così inferiori, ma soprattutto non possono smettere di lottare per qualcosa che pensano gli sia dovuto: una vita. I Nexus 6 infatti hanno un limite vitale di 4 anni, limite che gli rende impossibile crearsi una vera vita, sviluppare dei veri sentimenti. Un limite che li costringe a rimanere per sempre dei surrogati degli uomini e li blocca dall'esprimere tutto il loro potenzionale di eccezionali creature viventi.

Come moderni Luciferi, gli androidi, capitanati da Roy Batty (un gelido Rutger Hauer), cercano il loro creatore, gelosi di essere stati spodestati nel suo cuore dalla genia che infesta la morente Terra e lo spazio circostante. Vogliono un'anima, vogliono i sentimenti, vogliono che la loro esistenza non si perda nella pioggia, ma che assuma un significato, che ne rimanga un ricordo, che non venga cancellata con la facilità con cui si schiaccia un moscerino.
Ma come gli angeli ribelli, saranno scacciati all'inferno, non da loro padre, ma dal tempo effimero che li rende così speciali. Perchè è proprio il breve lasso di tempo che hanno a disposizione a fargli vivere ogni esperienza con più partecipazione, con più slancio, con più amore della vita stesso. La candela che spetta loro è corta, ma la bruciano da entrambe le parti.
E per Deckard questo sarà il capolinea; non potrà più compiere il suo dovere, ma si rifugerà fra le braccia del suo amore, la replicante Rachel (Sean Young), senza chiedersi cosa gli riserverà il futuro, ma vivendo per il momento.

Il finale di questa pellicola ci lascia quindi con una speranza per il futuro, a differenza del libro da cui è tratto, e Ridley Scott sfodera tutta la sua abilità per rendere la ricchezza di questa poesia su grande schermo. Aiutato in questo da un cast superlativo e dalle evocative musiche di Vangelis.
Un grande capolavoro degli anni '80 e del cinema eterno.