Recensione Love And Honor (2006)

Un cinema sospeso nel tempo che non deve rispondere a nessuna regola, ma semplicemente emozionare e stupire, scena dopo scena, per la sua straordinaria bellezza e sensibilità.

Amore (e cibo) ai tempi dei samurai

Love and Honor, capitolo conclusivo della trilogia dei samurai del maestro giapponese Yoji Yamada, arriva alla sua destinazione naturale, ovvero il Festival di Berlino, dove negli scorsi anni erano già stati presentati (seppure nella sezione competitiva invece che in Panorama Special come quest'anno) i due film precedenti The Twilight Samurai e The Hidden Blade.

Come già per le due opere precedenti, i protagonisti dei film di Yamada sono sì samurai ma non nell'accezione del termine a cui noi occidentali siamo abituati: niente battaglie spettacolari, nessun vagabondaggio alla ricerca di nuove sfide e nessun villaggio da difendere. Shinnojo invece si limita a fare l'assaggiatore di cibo per il signore del castello presso cui presta servizio, un lavoro di routine poco stimolante che già da tempo sta pensando di lasciare per insegnare piuttosto la via dei samurai ai bambini di ogni casta sociale; prima però di poter realizzare il proprio sogno, un assaggio di sashimi avvelenato gli è quasi fatale, e dopo una lunga febbre si ritrova completamente cieco.
Ad accudirlo ci pensano la graziosa moglie e il fedele anziano servitore, ma un samurai cieco serve a ben poco e ben presto la famiglia di Shinnojo si trova in gravi difficoltà economiche, difficoltà che possono essere forse superate grazie all'avvenenza della consorte Kayo e ad una vecchia conoscenza pronta ad approfittare delle loro difficoltà. Amore e onore finiranno con lo scontrarsi e porteranno a drammatiche conclusioni.

Ancora una volta, quindi, Yamada ci racconta di personaggi quasi ordinari, alle prese con problemi pratici e situazioni drammatiche ma sicuramente molto lontane dall'epos che ci si potrebbe aspettare da un film sui samurai: siamo ancora una volta intorno al "crepuscolo" di queste grandi figure, in cui ai duelli e alle battaglie si sono sostituiti quasi del tutto tradizioni e consuetudini. Come in ognuno dei film della trilogia c'è sempre un unico duello che i protagonisti affrontano soltanto perché costretti e ancora una volta l'amore (questa volte coniugale, mentre nei precedenti era prima filiale e poi quasi tra fratello e sorella) è il tema centrale del film, a cui questa volta vanno però ad accostarsi l'onore e il cibo.
E' il cibo a causare il malessere e la disgrazia del protagonista, ma è anche il cibo a riavvicinarlo alla moglie creduta perduta e d'altronde è attraverso il cibo che sembra poter giungere l'unico reale pericolo ad un signore chiuso nel suo castello e protetto da un gran numero di samurai, tutti annoiati e disincantati. E se il cibo è il deus ex machina dell'intera storia, l'onore è l'unico sentimento che dona ai samurai una scintilla dell'antica gloria, trasformandoli nuovamente in nobili e valori guerrieri.

Tutti temi sicuramente non originali, ma il cinema di Yamada ha una sapore estremamente e deliziosamente classico, un cinema sospeso nel tempo che non deve rispondere a nessuna regola, ma semplicemente emozionare e stupire, scena dopo scena, per la sua straordinaria bellezza e sensibilità.

Movieplayer.it

4.0/5