Recensione L'uomo senza volto (1993)

Charles Norstadt è un ragazzino con un'infanzia a dir poco travagliata alle spalle ed una madre il cui passatempo preferito sembra essere quello di cambiare mariti su mariti. Ma la vita di Charles prenderà una piega decisamente diversa quando incontrerà un tale Justin Mc Leod...

Alla scoperta del vero mostro...

Un film straordinario, egregiamente interpretato da un sorprendente Mel Gibson, che - con la stessa tenacia mostrata nei panni del prode impavido condottiero irlandese Wallace nell'indimenticabile Braveheart - Cuore impavido - stavolta si appropria addirittura della bacchetta del direttore d'orchestra, firmando con l'inchiostro di un'inaspettata geniale competenza la regia de L'uomo senza volto.
Una pellicola che eccezionalmente si propone come fervido spunto per riflessioni personali quanto mai attuali, inevitabili sin dalla primissima scena, nella quale aleggia silenzioso un quesito fondamentale per lo svolgersi di questo film e, in fin dei conti, per lo svolgersi di quel grandioso quanto imprevedibile film che è la Vita.

Qual è il sogno di ogni bambino? Vedersi acclamato dalla folla in delirio, godersi trionfante gli applausi scroscianti tutti per lui; oppure, più semplicemente, è sentirsi davvero apprezzato. E rispettato. E, soprattutto, amato.
A volte, però, la distanza fra sogno e realtà apre uno squarcio fin troppo profondo per essere colmato. E' il caso di Charles Norstadt - magnificamente rappresentato dal giovanissimo Nick Stahl - un ragazzino con un'infanzia a dir poco travagliata alle spalle ed una madre il cui passatempo preferito sembra essere quello di cambiare mariti su mariti. Le ciliegine sulla torta già così amara sono due sorellastre insopportabili: Meg, più piccola, di una disponibilità e socievolezza veramente asfissianti; al contrario Gloria, la più grande, incarna benissimo ciò che si definisce una vipera perfida ed invidiosa.

Date le premesse, l'insuccesso scolastico è inevitabilmente sottinteso e la conseguente bocciatura ne rappresenta l'ultima scontata manifestazione.
Una vita, quindi, quella del piccolo Charles, destinata a rotolare libera e maledettamente inostacolata verso la deriva... Ed invece un NO deciso ed imperioso risuona irremovibile nel cervello di quel ragazzino sfortunato, mirabilmente determinato a riacciuffare le redini di quell'animale dagli zoccoli d'oro, tanto velocemente galoppante da apparire a volte irraggiungibile, che porta il sublime nome di "CULTURA".

Allora Charles si mette alla ricerca di un precettore che possa aiutarlo, che sia in grado di prepararlo per riaffrontare l'esame di ammissione alla tanto sognata Accademia. Finalmente trova un insegnante, anzi L'insegnante, colui che presto diventerà il suo maestro di vita, il suo "precettore per sempre". Peccato che questa persona unica abbia il volto per metà del bel noto Mel Gibson e per metà quella deforme di un mostro.
Justin Mc Leod, rimasto in gran parte sfigurato in seguito ad un incidente d'auto, vive solo in quel paesino, appartato, in completo isolamento da circa sette anni; sette lunghi anni durante i quali sentirsi sguardi inorriditi addosso, nonché subire pettegolezzi fantasiosi riguardanti la sua sfera privata. Finché l'arrivo di Charles porta una ventata d'aria fresca nella sua vita tormentata; con lui può tornare ad insegnare, ma non solo: torna a parlare, a sorridere, a scherzare, a confortare... ad amare. Eppure alla gente di quel paese - ma sarebbe il caso di dire: alla gente di quest'immenso 'paese' chiamato Terra - basta poco: bastano della cicatrici per fare di una persona un ipotetico assassino, delle abrasioni per farne un maniaco, dei semplici sorrisi per farne un pedofilo.

La colpa di cui il professor Mc Load viene accusato da quegli uomini, quegli stessi uomini che non gli avevano mai risparmiato il loro ribrezzo, è quella di amare il suo alunno, di amarlo, intendo, come un vero padre, come quel padre che Charles non ha mai avuto accanto, di abbracciarlo con l'innocente speranza di un semplice conforto...
E' una colpa grave, per una società come quella, come la nostra dopotutto, divenuta ormai incapace di tanto forti sentimenti, AMARE davvero. Per una società in cui non interessa più l'essere, non va più di moda; adesso conta solo ed esclusivamente l'apparire: "A voi interessa solo la superficie della verità, la schiuma alla bocca...".

Certo, si potrebbe obiettare che è comprensibile, specialmente in un'epoca in cui creme di bellezza, rimedi chirurgici, cure estetiche, "ritoccatine qua e là" sembrano incredibilmente diventati necessità di primaria importanza, che in fin dei conti una scottatura, una cicatrice o un'abrasione possa spaventare... ma non siamo ipocriti: quello che ci spaventa sul serio è scoprire, appena dietro quell'imperfezione estetica dell'altro, la capacità di provare quei forti sentimenti di cui si parlava prima, la capacità di AMARE senza pretese, una capacità, o forse l'unica capacità, di cui noi, malgrado tutto, ci ritroviamo tragicamente sprovvisti.
E dopo aver puntato il dito contro l'altro, dopo aver condannato la sua diversità, dopo aver sfogato la nostra inconsapevole invidia, ci guardiamo allo specchio, e quello che ci terrorizza realmente è scoprire che i veri mostri siamo noi. Solo e soltanto noi.