Alexandre Rockwell a Roma per raccontare il suo cinema

Abbiamo incontrato al festival di Roma 2010 il regista americano più noto del cinema indipendente, che ha presentato in anteprima nazionale la sua ultima opera, 'Pete Smalls is Dead', commedia nata, come al solito, non senza una faticosa gestazione.

Uno dei maggiori cineasti del cinema americano indipendente degli anni '90, Alexandre Rockwell è stato protagonista di un divertente incontro della sezione L'Altro Cinema/Extra al festival di Roma 2010. Rockwell, che tutti ricordiamo per il furbastro In the soup, il verboso Four Rooms e il felliniano Somebody to Love, rappresenta ad anni di distanza un esempio significativo della sua generazione, formata dalle leve creative e brillanti di John Cassavetes, tra i quali merita insieme a lui un posto privilegiato il più popolare Jim Jarmush. La carriera di Rockwell vanta un numero davvero esiguo di film, produzioni low budget scanzonate e spregiudicate soprattutto nell'uso del linguaggio e nell'attacco continuo allo studio system. Come alcuni colleghi coraggiosi e provocatori, i suoi film sono legati da una certa continuità: spesso ritroviamo temi personali, che attingono a episodi realmente accaduti a se stesso o ad amici e nel cast artistico riconosciamo i volti degli attori, come con Jennifer Beals, ex partner storica, Steve Buscemi e Tim Roth, che, ci confessa, sono per lui come una grande famiglia. Simpatico e talvolta criptico, Rockwell ha ripercorso per il pubblico del festival alcuni dei più importanti momenti della sua filmografia, senza esimersi da commenti onesti e ilari e da racconti di aneddoti interessanti e bizzarri. Dopo l'evento il regista, che si indica i produttori come dei gangster, ha presentato alla platea Pete Smalls is Dead, frutto dei suoi ultimi "sforzi" e segnale importante per la salute del cinema indipendente dei nostri giorni, esempio che il cineasta vorrebbe venisse seguito in tutto il mondo.

Signor Rockwell, lei ha riconfigurato il concetto di cinema indipendente rispetto agli anni '60. E' un cinema fatto d'immagini molto particolari, come la trasmissione Naked Truth nel film In the soup (1992). Sono frutto di episodi personali?
Alexandre Rockwell: Sì! Ai tempi di quel film abitavo in un appartamentino insieme a un musicista che aveva una figlia, ma non aveva soldi per farle un regalo a Natale. Gli avevano raccontato di Naked Truth, una trasmissione in cui avrebbe dovuto suonare nudo per 100 $. Lui non sapeva però che poi quel video sarebbe stato mostrato più volte durante l'anno... Per me era difficilissimo all'epoca trovare soldi per fare un film così ho venduto tutto quello che avevo, ho comprato, credendo di essere un bravo sassofonista, solo un sassofono, che poi ho venduto a un tizio... Nel film le due vicende si sono mescolate...

Spesso lei collega le gangster stories agli studios. Ci spiega il senso di questi paragoni?
Sì, il mio film preferito è Morte di un allibratore cinese di Cassavetes; lui diceva che era per lui una storia molto personale. Anche i mie produttori sono per me come dei gangster. Le banche invece sono gli assassini. Forse sono romantico, ma trovo i gangster affascinanti per gli artisti. Mi viene in mente un produttore che mi chiamava anche di notte minacciandomi perché voleva vedere il mio film. Pazzesco!

Episodi come questi sono drammatici, anche se adesso ci fanno ridere...
Voi non ci crederete, ma me ne sono successi parecchi. La prima volta che sono stato al Sundance per presentare In the soup, ero a tavola con uno di questi gangster e la fidanzata mi accarezzava la mano di nascosto sotto il tavolo così io sudavo e tutti mi chiedevano cosa avessi. E' stato terribile! Un altro episodio che devo raccontarvi è questo: il mio proprietario di casa a New York mi chiedeva continuamente se un cieco potesse dirigere un film così ho trovato degli amici siciliani e ho deciso di farli recitare cantando. Una volta sul set loro hanno litigato sul serio, venendo alle mani, ma nessuno si è reso conto che fosse la verità... Noi cerchiamo sempre di unire diversi elementi sperando che ne venga fuori un'alchimia.

Gli autori indipendenti tendono a stringere legami forti con attori, come nel caso di Jennifer Beals (Flashdance). Come mai secondo lei?
Forse perché vediamo nel cast una famiglia, con la quale attraversiamo insieme alti e bassi... Per me succede in maniera regolare. Pensiamo alla scena di Caro diario di Nanni Moretti: Moretti e io ci eravamo incontrati e lui aveva solo detto a me e a Jennifer che avremmo dovuto camminare. Per quanto riguarda la scena di Four Rooms in cui Jennifer fa un elenco impressionante di vocaboli osé invece non mi è mai successo qualcosa di simile!

Che tipo di rapporto hai con i tuoi attori sul set, durante le riprese?
In un certo senso è come per la musica: c'è improvvisazione, ma le note alla base si conoscono. Questo tipo d'improvvisazione rende vivo il dialogo tra me e gli attori. Non sono le battute a essere improvvisate, ma i sentimenti, le emozioni!

Ascoltando le battute si ha l'impressione che lei lavori molto sui dialoghi. E' così?
Mi piace giocare coi dialoghi e trovo divertente scrivere. Poiché ho sempre problemi economici, penso alle scene continuamente nella mia testa.

Ascolta musica mentre scrive?
Sì, sono molto influenzato da Paolo Conte, anche se non capisco una parola di quello che dice. La sua musica mi stimola molto.

Rivedendo alcune sequenze di Somebody to love (1994) troviamo molte analogie con Le notti di Cabiria di Fellini. Si è ispirato per i suoi film ai registi che hanno segnato la sua formazione?
E' molto difficile per me rivedere le immagini de Le notti di Cabiria, un film che ancora mi emoziona. Da piccolo, a 12 anni, in sala cercavo sempre di capire i film di Fellini, i suoi film hanno avuto su di me un impatto importante. Fellini per me è come un padre artistico.

Pete Smalls is dead ricorda molto In the soup: è un film anarchico e sopra le righe. Secondo lei quanto è cambiato il panorama del cinema indipendente negli ultimi tempi?
E' cambiato. C'è stato un momento storico in cui ci sono stati più consensi, ma malgrado la commercializzazione attuale dei film, possiamo continuare a realizzare film indipendenti. Il dialogo e il confronto come quello di stasera sono importanti per continuare a lavorare. La mia generazione aveva più amore per la tradizione, per i miti che ci avevano preceduto e che non erano intrappolati, proprio come non voglio esserlo io.

Questo è un film in cui, più dei precedenti, c'è un grande virtuosismo tecnico...
Penso di essere un po' all'antica: amo il mestiere del cinema. Io insegno cinema in alcune università americane ai giovani, alcuni dei quali hanno collaborato con me a questo film, che diventa così una lezione di cinema, fatta con pochissimi soldi!