Recensione Killing Words (2003)

Ispirato a un'opera teatrale, Killing Words è un ottimo thriller che fa uso di un dialogo schiacciante e ispirato, tenendo lo spettatore sulle spine, con alzate di tensione che provocano non poco fastidio.

Al cuore Ramon...

Siamo in un posto indefinito, una stanza ampia e piena di accessori da lavoro sul muro, che a prima vista sembrerebbe uno scantinato. Troviamo quindi un uomo preso a parlare con una donna legata ad una sedia ed imbavagliata che, impaurita, non può far altro che ascoltare. La donna è Laura (Goya Toledo), una psichiatra, e l'uomo che la tiene in ostaggio è il suo ex marito Ramon (Dario Grandinetti), professore universitario che le confessa di essere un serial killer e che sarà pronto a cavarle un occhio quando meno se lo aspetta. Soprattutto se uscirà perdente dal gioco "parole incatenate" (dal titolo originale della pellicola: Palabras encadenadas).

Fin dall'inizio, è chiaro che questo accattivante thriller ci trasporti in un lungo viaggio fatto di incastri narrativi che lasciano emergere episodi ed eventi nel lungo interrogatorio tra vittima e carnefice.
Un mese dopo, ritroviamo il nostro professore al commissariato, impegnato a rispondere alle domande della polizia, che sta tentando di far luce sulla scomparsa di sua moglie Laura.
Ramon racconta tutto ai poliziotti e quello che progressivamente ci viene mostrato è il regolamento di conti intrapreso quella lunga notte tra vittima e carnefice, fino ad una rivelazione finale a dir poco sorprendente.

Ispirato a un'opera teatrale, questo Killing Words è un ottimo thriller che fa uso di un dialogo schiacciante e ispirato, tenendo lo spettatore sulle spine, con alzate di tensione che provocano non poco fastidio.
Il gioco viene portato avanti con una tale bravura da parte degli attori che riesce a rendere partecipe anche il fruitore meno coinvolto, trasmettendogli sensazioni da brivido ogni volta che Laura sbaglia, permettendo a Ramon di impaurirla a morte. Questi sono sicuramente i momenti migliori del film, con un dialogo tra i due che si fa sempre più teso, oscillando tra Ramon che si spinge oltre la follia e Laura che lo fa soccombere, accusandolo di essere soltanto un debole maniaco.
Il pubblico inizia quindi ad essere disorientato, in quanto cominciano a venir fuori, con sorpresa, elementi di cui non è ancora a conoscenza.

La regia di Laura Maña (Compassionate Sex), che cura alla perfezione la psicologia dei personaggi, compresi quelli secondari come il commissario (Fernando Guillèn) e il suo assistente (Eric Bonicatto), alterna strettissimi campi che scrutano il volto dei due protagonisti a stacchi immediati che ci riportano al commissariato, concatenando alla perfezione presente e passato, e privilegia una fotografia fredda, ottima per descrivere l'atmosfera in cui la vicenda, debitrice nei confronti di opere più famose come I soliti sospetti e Gli occhi del testimone, si svolge.
La reazione dei due poliziotti davanti alle confessioni di Ramon è la stessa degli spettatori, ed il grande pregio del lungometraggio sta soprattutto nel fatto che la sceneggiatura è sempre pronta a portarci fuori strada, anche quando siamo sicuri di essere arrivati alla soluzione.

Abbiamo quindi la conferma che il cinema spagnolo riesca ancora a sfornare riusciti prodotti ad alto tasso di tensione, sicuramente perchè nella produzione troviamo Julio Fernandez, proprietario della Filmax, specializzata in thriller e horror soprannaturali, e, insieme al regista americano Brian Yuzna (Society), della Fantastic Factory, a cui si devono opere come Darkness, Dagon e l'atteso terzo capitolo di Re-Animator.
Sia chiaro che Killing Words è di tutt'altra levatura, ma è comunque un ottimo prodotto di genere, capace di sorprendere fino all'ultimo fotogramma.