Recensione La piccola Lola (2004)

Bertrand Tavernier ritorna a un cinema piccolo piccolo, sussurrato e didascalico, fra fiction e realtà, lasciato decantare negli occhi dello spettatore per oltre due ore.

Adotto, quindi esisto

Bambini, genitori, adozioni, paesi lontani.
Bertrand Tavernier ritorna a un cinema piccolo piccolo, sussurrato e didascalico, fra fiction e realtà, lasciato decantare negli occhi dello spettatore per oltre due ore.

Pierre e Geraldine sono una coppia d'oltralpe, abitanti di un paesino lontano dalla città. Nella loro semplicità hanno un sogno particolare e profondo: il desiderio di adottare un bambino della Cambogia. Le trafile infinite a cui sono sottoposte le coppie francesi (ma anche quelle italiane) per ottenere un'adozione sono estenuanti, e la permanenza di sei mesi in loco alla ricerca del figlio agognato.
Il regista francese si addentra in spinose questioni lasciando parlare gli attori, prevalentemente non professionisti, che guidano la storia dalle semplicità delle piccole cose di tutti i giorni al viaggio e alla distanza della Cambogia.

La narrazione è scorrevole, ma soffre di un eccessivo didascalismo e francesismo. La sua universalità si infrange infatti sulla presunzione dell'essere gli unici ad avere problemi e gli unici a sapere come risolverli. Allo stesso tempo anche il popolo e la terra cambogiana rientrano negli stereotipi di quei paesi. Povertà, corruzione, favoritismi a chi ha il potere.

Il tema trattato molto attuale è semplificato e irritante in alcuni suoi dettagli, sebbene ci permetta di addentrarci in situazioni molto frequenti e comuni che coinvolgono forse i vicini della porta accanto.