Recensione Plan B (2009)

Il tono che i personaggi mantengono è fortunatamente pacato, lo script ci evita reazioni esagitate e voci grosse, scegliendo inoltre di rendere piuttosto labile la cocciutaggine machista nel rifiuto di accettare la cavalcata interiore delle proprie emozioni.

Abbandonarsi all'amore

L'avvio di Plan B dell'argentino Marco Berger è parecchio stentato, sfibrato da una mancanza di budget che sembrerebbe confinarlo nel rischioso territorio dell'amatoriale. Anche la narrazione fatica a conquistare l'interesse dello spettatore, minacciando di raccontare l'ennesima storiellina innescata da una menzogna, con la variante omosessuale. E invece con lo scorrere dei minuti i corpi si guadagnano il proprio spazio, l'ambiente li incornicia in maniera espressiva e anche il silenzio si carica di un senso che contribuisce a completare il lento sprofondare dei due protagonisti l'uno dentro l'altro, ognuno dentro se stesso. L'inganno che dà il via alla vicenda è un piano messo in atto da un giovane che per riconquistare la sua ex fidanzata, decide di far invaghire di sé il suo nuovo ragazzo, del quale sospetta tendenze gay. Il legame che si viene a creare tra i due si fa sempre più confuso e ben presto dubbi e sentimenti che si attorcigliano cambiano completamente la situazione. Il gioco si trasforma così nella presa di coscienza di pulsioni e di un sentimento che nessun pregiudizio può mettere a tacere.

I lunghi piani sequenza, realizzati per lo più con camera fissa, si configurano come tappe di un percorso di consapevolezza molto ben congegnato, screziato da una costante tensione omoerotica che il regista decide con gran coraggio di non sciogliere mai. Perché evidentemente Plan B non è un film furbo, disposto ad adagiarsi sul voyeurismo fine a sé stesso che genera pruriti e imbarazzi, ma s'impegna invece a tratteggiare questa relazione con tocco tenero e delicato, sbandando talvolta nell'insistenza della pelle scoperta, ma mantenendo sempre una gran dignità, oltre a una sincerità che riscalda. La scena si riempie di silenzi rumorosi, nel deserto degli spazi, che sembrano abitati solo dai ragazzi impegnati a scoprirsi e nello stesso tempo a trattenersi. I tempi sono pesantemente dilatati, i dialoghi per lo più banali, ma funzionali all'obiettivo che la pellicola si propone: dar conto della normalità dell'amore, della scontatezza del corpo che si fa più forte del raziocinio, del bisogno di sentire il calore dell'altro, superando il timore di oltrepassare quel limite che separa dalla felicità.
Il tono che i personaggi mantengono è fortunatamente pacato, lo script ci evita reazioni esagitate e voci grosse, scegliendo inoltre di rendere piuttosto labile la cocciutaggine machista nel rifiuto di accettare la cavalcata interiore delle proprie emozioni. Si potrebbe forse obiettare un'eccessiva magnanimità verso questi comportamenti umani che mantengono sempre e comunque una certa serenità di fondo, ma la bellezza di quest'opera è proprio nell'ottimismo che esprime, nell'occasione che offre ai suoi protagonisti di abbandonarsi semplicemente all'amore, superando senza troppi patemi gli sciagurati presupposti che avevano dato il via alla conoscenza e il successivo struggimento nel dare un nome a quel che andavano provando. I due attori principali offrono entrambi una prova brillante, considerando anche l'enorme peso da sostenere per un montaggio ridotto al minimo e un lavoro non indifferente che viene loro richiesto in termini di sensibilità ed esternazione di un turbinio di stati d'animo. Per una volta non c'è tragedia, non ci sono allarmanti stati d'agitazione, solo la voglia di tenere insieme due persone che si sono riconoscute e hanno capito d'appartenersi. Gran cosa.