Recensione 4 Padri Single (2008)

Quello di Monico e Muccino è un progetto ambizioso, il cui risultato è a tratti piacevole, grazie ad una caratterizzazione dei personaggi ben calibrata e ad una scelta degli interpreti azzeccatissima.

A proposito di uomini

Se dovessimo basare la nostra concezione del mondo sulla realtà prospettata dalle commedie romantiche, potremmo concludere facilmente che la sfera emotiva di una donna è un enorme, caotico ammasso in continua trasformazione, ben posizionato all'esatto centro dell'universo femminile, mentre i sentimenti dell'uomo si riducono ad un ben ponderato esercizio di stile (nonché di falsità) atto a far capitolare la bella di turno e a farne la propria schiava d'amore, fino al mattino dopo. La maggior parte degli individui senzienti è fortunatamente in grado di rendersi conto che tutto ciò altro non è che una pratica schematizzazione ad uso della finzione scenica, un'abile mossa di marketing dovuta al fatto che il target delle storie romantiche è quasi sempre di sesso femminile, e sarebbe oltremodo controproducente far notare a donne arrabbiate e disilluse che anche gli uomini sono in grado di soffrire e struggersi.
Ma per chi abbisognasse di ulteriori chiarimenti, il fiore all'occhiello del cinema italiano all'estero, Gabriele Muccino, ha provveduto, seguito a ruota dai suoi adepti, a sbugiardare definitivamente questa erronea nonché un po' svilente concezione del maschio, mostrandoci un sesso forte preda di sospirosi aneliti e lacrimevoli drammi.

Proprio a questo filone appartiene la pellicola di Paolo Monico, regista italiano da tempo operante a New York, in cui quattro uomini, diversissimi per carattere ed estrazione sociale, si trovano però a fare i conti con problemi più simili di quanto non sarebbe lecito immaginare. C'è Jacopo, il cui studio dentistico è sempre affollato da donne avvenenti, e apparentemente non affette da alcuna carie; poi Dom, volenteroso ma pasticcione, in perenne confronto con il nuovo compagno della moglie; Ennio, premuroso e docile marito che di punto in bianco deve fare i conti con l'impazienza della compagna a rifarsi una nuova vita che non lo comprende; e George, poliziotto sovrappeso e precocemente inacidito, intrappolato nei continui battibecchi con l'altrettanto pingue consorte.
Punto d'incontro di questi individui sono i figli, o meglio la scuola che tutti loro frequentano: proprio ad una recita scolastica avverrà il primo approccio, in verità non proprio amichevole, tra i nostri, che, in un futuro non troppo remoto, scopriranno di essere l'unico appiglio l'uno per l'altro di fronte allo sfascio di tutto il resto della loro esistenza. Con la reciproca frequentazione, all'inizio un po' stentata e diffidente, poi sempre più cercata e consapevole, ognuno dei protagonisti capirà di dover, almeno in parte, cambiare, superando l'immagine che il mondo si era creato di loro e nella quale con un po' di commiserazione si erano adattati a vivere. Ma un tale processo, come prevedibile, non si rivelerà del tutto indolore, senza contare che, nonostante il grande sforzo profuso, un risultato conforme alle aspettative è tutt'altro che garantito. Sicuramente quello di Monico, e più in generale di Indiana (la casa di produzione di Muccino) e Mediaset, è un progetto ambizioso, non tanto per la volontà di descrivere temi importanti come quello dei figli, delle donne e della difficoltà di coniugare questi due aspetti, ma soprattutto per l'intenzione di creare in futuro, a partire da questo primo episodio, una vera e propria serie tv, egualmente fruibile dal pubblico italiano e americano. Il risultato, per ora, è a tratti piacevole, grazie ad una caratterizzazione dei personaggi ben calibrata e ad una scelta degli interpreti azzeccatissima; numerose sono anche le gag che, con la loro natura tragicomica, stemperano in una doverosa risata i pur importanti rovelli di tutti i giorni. D'altro canto però, probabilmente per la necessità di accontentare il maggior numero possibile di palati, l'insieme soffre dell'effetto "nè carne né pesce", dovendosi barcamenare tra l'esterofilia dilagante (un altro marchio di fabbrica di Muccino), lo stereotipo dell'italiano all'estero, tutto pasta e calcio in tv (nonostante sia da dare atto alla sceneggiatura di aver trattato questi prevedibili aspetti con una certa dose di ironia), e qualche pericolosa virata verso il melenso. Certo la sua natura di prodotto destinato al pubblico televisivo, che per giunta si ispira nemmeno troppo velatamente al celeberrimo Sex & the City americano (con il quale ha in comune anche la sceneggiatrice Liz Tuccillo), può rendergli perdonabili alcune leggerezze, ma l'impressione generale è che anche stavolta si sia voluta percorrere la strada delle emozioni facili facili e dei sentimenti prêt à porter, e questo non è sicuramente segno di rispetto ed attenzione verso nessun tipo di pubblico.

Movieplayer.it

2.0/5