A Berlino 'non per caso': intervista ad Alessandro Aronadio

Da Hollywood a Berlino, partendo dalla Sicilia: questo l'insolito percorso del promettente regista. Laureatosi alla Los Angeles Film School, approda al lungometraggio con "Due vite per caso", che fa parte della sezione Panorama della Berlinale. L'esordiente regista palermitano si racconta in esclusiva, rivelando alcuni inediti particolari sul film.

"Aspettando Berlino". Così potrebbe essere sintetizzato lo stato d'animo di Alessandro Aronadio, giovane regista palermitano la cui opera prima è stata ammessa nell'ambita sezione Panorama del Festival berlinese. Unico italiano in concorso (Mine vaganti di Ferzan Ozpetek è in programma nella categoria Panorama special), Alessandro confida in esclusiva ai lettori di Movieplayer.it di provare un misto di stupore, gioia, e ansia per la responsabilità. E, forse un po' come il protagonista del suo film Due vite per caso, si sente frastornato da un evento, questa volta straordinariamente positivo, che potrebbe cambiare per sempre il suo destino. Pienamente calato all'interno della generazione che vuole rappresentare con la sua opera, Alessandro lamenta la condizione di incertezza e precarietà dei giovani, tutti costretti a subire delle "vite per caso", soprattutto se provengono dal Sud. Eppure lui, classe 1975, è già riuscito a guadagnarsi dei traguardi importanti. Anche qui, forse, il destino c'entra: nel 2001 è l'unico italiano a vincere una borsa di studio che gli permetterà di frequentare la Los Angeles Film School di Hollywood. Ma l'America non è tutto per lui: collabora anche con numerosi registi italiani, tra cui i suoi conterranei Giuseppe Tornatore, Daniele Ciprì e Franco Maresco. Diviso tra regia e scrittura, tra cinema e tv, il coronamento professionale arriva però con Due vite per caso, esordio al lungometraggio con un ricco cast (tra cui Isabella Ragonese, Lorenzo Balducci e Rocco Papaleo), che la Lucky Red ha deciso di distribuire il prossimo aprile. Intervistato "a caldo" poco dopo la notizia della selezione nella kermesse berlinese, le dichiarazioni di Alessandro ci confermano che il suo successo non può essere arrivato solo "per caso".

Una prima domanda scontata, ma in qualche modo d'obbligo: qual è stata la tua reazione dopo aver saputo di essere l'unico italiano in concorso nella sezione Panorama del Festival di Berlino, oltretutto con la tua opera prima?

Alessandro Aronadio: La prima reazione è stata, com'è ovvio, di grandissima gioia per essere stato ammesso a un festival duramente selettivo, soprattutto nella scelta dei titoli italiani, com'è quello di Berlino. L'emozione è cresciuta ancora di più dopo aver saputo di essere l'unico regista del nostro paese in concorso all'interno della sezione Panorama. Potrà sembrare retorico, ma sono davvero onorato di rappresentare in qualche modo il cinema italiano in quest'occasione. Al tempo stesso, sento anche il peso della responsabilità che questo comporta, soprattutto perché sono in concorso con il mio primo lungometraggio.

Dato che ancora si conosce ben poco di Due vite per caso, potresti rivelare ai lettori alcuni dettagli sul film?

Alessandro Aronadio: Due vite per caso è lo studio su di un personaggio che, in seguito a un evento traumatico, inizia a vivere una sorta di doppia esistenza, come se il suo destino prendesse due biforcazioni diametralmente opposte. L'impostazione di partenza è simile a quella di Sliding Doors ma, a differenza del film di Peter Howitt, qui non siamo di fronte a una commedia romantica. La storia, infatti, presenta tematiche dure e scottanti e indaga la realtà che circonda il protagonista anche da un punto di vista sociale. Mi interessava, in particolare, catturare la situazione di incertezza in cui aleggiano i giovani della nostra generazione. Protagonista è, infatti, un ragazzo di venticinque anni, un'età in cui la vita dovrebbe offrirti un intero universo di possibilità, o almeno così vorrebbero farti credere, fino a quando non ti scontri con la cruda realtà.

Il tuo primo lungometraggio si segnala anche per la partecipazione di attori affermati e apprezzati dal pubblico, tra cui Isabella Ragonese, Lorenzo Balducci, Rocco Papaleo e numerosi altri.

Alessandro Aronadio: Ho avuto la fortuna di esordire con un cast straordinario. Oltre agli attori citati da te, ci sono anche Ivan Franek, Sarah Felberbaum, Niccolò Senni, Teco Celio, Monica Scattini, e i gustosi camei di Tatti Sanguineti e Andrea Purgatori, oltre a tanti altri altrettanto bravi. Mi ha stupito il modo in cui tutti hanno deciso di immergersi in un progetto che, come tutte le opere prime, pur essendo pieno di energia e voglia di sperimentare può contare su mezzi limitati. Gli attori hanno dimostrato una gran voglia di mettersi in gioco, non risparmiandosi neanche un po'. Nonostante fossero coinvolte tante persone diverse, alla fine si è creato un clima di allegria e spensieratezza, quasi come in una gita di liceo. Forse l'aria di gioco che si respirava sul set è stata necessaria per affrontare l'atmosfera cupa e cruda che in parte avvolge il film.

Per quale ragione si è deciso di cambiare il titolo del film, sostituendo l'iniziale Aspettando Godard con questo nuovo Due vite per caso?

Alessandro Aronadio: Il primo titolo era senza dubbio molto affascinante ed evocativo, ma anche piuttosto criptico e oscuro. Due vite per caso ha invece il pregio di catturare subito l'essenza del film. Aspettando Godard rimane comunque un riferimento costante all'interno della storia, perché questo è il nome del pub in cui si reca abitualmente il protagonista. Un nome che parafrasa l'Aspettando Godot beckettiano, e che somiglia molto da vicino allo stato d'animo disilluso e disincantato con cui i giovani d'oggi ormai affrontano il proprio futuro.

Il film affronta tematiche esistenziali dalla portata universale, ma calate in un contesto sociale d'inedita concretezza, trattando anche temi di carattere politico. Ritieni necessario che il cinema si occupi anche di questa dimensione?

Alessandro Aronadio: Qualunque film che descriva le azioni di un personaggio calate in un contesto storico ben preciso è per me un film politico. Qui non entra in gioco solo il tema dell'imperscrutabilità di un volere superiore, che lo si voglia chiamare Caso, Destino, oppure Dio. La tematica della casualità diventa una questione di natura sociale e politica in un'epoca come la nostra, in cui le esistenze paiono essere perennemente sospese in uno stato di precarietà. Quelle di noi giovani sono oggi un po' tutte "vite per caso".

La condizione del doppelgänger sembra essere non solo il nodo cruciale cui ruota attorno Due vite per caso, ma anche un'ossessione che ti porti dietro da parecchio tempo, a giudicare dal fatto che ti sei laureato con una tesi incentrata sul tema del doppio nel cinema di David Cronenberg.

Alessandro Aronadio: Penso che il doppio, al pari dell'amore, sia un tema universale. Tutti conviviamo con un nostro alter ego dalla natura contrapposta: a volte riusciamo a tenerlo a bada, in altri casi è lui che prende il sopravvento. Ogni giorno ci confrontiamo continuamente con un proprio altro da sé speculare, quasi che appartenesse a una dimensione estranea.

Nonostante tu sia ancora molto giovane, puoi già vantare un curriculum pieno d'esperienze, coronate da una laurea in regia cinematografica alla Los Angeles Film School di Hollywood. Cosa hai appreso da questo percorso formativo presso la Mecca del cinema?

Alessandro Aronadio: La scuola americana è fondata su un approccio molto pragmatico o, come dicono loro, "hands-on": per imparare la tecnica è necessario subito mettere le mani su strumenti e attrezzature. C'è invece poco spazio per corsi teorici di storia del cinema, o di analisi del linguaggio e delle regole stilistiche. Ho avuto anche il privilegio di osservare da vicino i mastodontici set hollywoodiani, dove tutto è organizzato fin nel più piccolo dettaglio e ogni minuto di tempo sprecato equivale alla perdita di migliaia di dollari. In un ambiente del genere è molto difficile costruirsi spazi di creatività personale, e anche gli autori ormai affermati devono sottostare a piani di programmazione molto rigidi. Da un certo punto di vista preferisco l'approccio alla regia italiano ed europeo, in cui mezzi tecnici e organizzativi limitati costringono ad attingere alle doti di improvvisazione creativa. Certo, l'ideale sarebbe trovare una giusta via di mezzo: un set con l'organizzazione e il rispetto per il lavoro tipico degli americani, ma anche con la ricchezza di scambio umano e personale che esiste da noi.

Ha di certo contribuito alla tua crescita personale l'aver lavorato come aiuto e assistente alla regia per grandi autori del nostro cinema, come Giuseppe Tornatore Daniele Ciprì e Franco Maresco, Mario Martone, Roberto Andò, e svariati altri. A quale di questi ti senti più legato e chi pensi ti abbia insegnato di più?

Alessandro Aronadio: Sono state tutte esperienze straordinarie, ognuna unica a suo modo, perché ciascuno di questi registi ha il pregio di girare film con uno stile e un approccio molto personale. Ho cercato di apprendere qualcosa da ognuno, "rubacchiando" quanto più possibile e accogliendo suggerimenti e consigli preziosi, anche se ho tentato in parallelo di costruire uno stile a mia volta personale.

Sei molto legato alla tua terra d'origine, la Sicilia, e hai lavorato con numerosi registi tuoi conterranei ormai affermati a livello internazionale come Tornatore e Ciprì e Maresco. Qual è la tua opinione sul cinema dell'isola, che ultimamente si sta tentando di rilanciare anche con interventi governativi?

Alessandro Aronadio: Qualche anno fa si parlava di "scuola napoletana" in riferimento a un gruppo di registi partenopei che girava film nella propria città. Per "scuola siciliana" invece si intendono alcuni autori di origine sicula che però realizzano le loro opere al di fuori della propria terra. Ed è un vero peccato. La Sicilia non ha nulla da invidiare a nessun altro territorio quanto a varietà e bellezza di location. Dopotutto le major americane hanno scelto di edificare i loro studi a Hollywood per un motivo ben preciso: sole quasi tutto l'anno, grande diversità di luoghi, dal mare alla montagna. Esattamente come nella nostra isola. Cosa manca, allora? Il coinvolgimento del tessuto imprenditoriale locale, la voglia di investire davvero anche da parte delle istituzioni. Spero che in futuro i buoni propositi enunciati da più parti si accompagnino a fatti concreti.

Quali sono i tuoi autori preferiti?

Alessandro Aronadio: Tanti, troppi. Amo registi dall'approccio diversissimo: dalla fissità della messa in scena di Tsai Ming-liang alla macchina da presa mobilissima di Lars Von Trier. Altri autori che apprezzo in maniera particolare sono i fratelli Dardenne e Andrea Arnold, la regista di Red Road.

Regista, sceneggiatore, autore a tutto tondo. Attivo al cinema, in tv, nella pubblicità. Hai lavorato in Italia e all'estero. Il tuo futuro sembra aperto a molte possibilità. Cosa preferiresti fare adesso?

Alessandro Aronadio: Mi piacerebbe continuare a muovermi su più campi differenti, come ho fatto sino ad ora. In realtà ho già pronta la sceneggiatura per un nuovo lungometraggio, che spero di mettere in cantiere al più presto. Ma adesso incrocio le dita per l'anteprima berlinese di Due vite per caso e mi auguro che il film sia bene accolto anche nelle nostre sale. Se tutto va bene, Lucky Red dovrebbe distribuirlo nei cinema il prossimo aprile.