Domenica 7 agosto ha avuto luogo nell'ambito del Festival una conferenza sulla relazione tra cinema e architettura che ha avuto come relatori il regista Wim Wenders e l'architetto Massimiliano Fuksas. Sono stati affrontati da entrambi i punti di vista temi molto interessanti, come i concetti di tempo e di spazio, la relazione tra forma e contenuto, il peso dello "spazio vuoto" nella costruzione di un'opera. La discussione ha dato spunti a riflessioni molto belle, ad esclusione di alcune cadute di stile, soprattutto da parte di Fuksas, che hanno riguardato l'alquanto rozza generalizzazione del "cinema americano" e la superficialità nell'attribuire alla forma un'aura di negatività e inutilità.
Wim Wenders: Credo che sia stato l'ascensore l'invenzione che ha permesso la nascita delle moderne città: pensate ai grattacieli, nessuno avrebbe percorso a piedi tutti quei piani! Ed è proprio dalla nascita delle città che si crea il bisogno del cinema, fondamentale per attribuire un senso alla propria vita e alla società.
Massimiliano Fuksas: Esistono due modi di relazione tra architettura e cinema: uno è quello di usare l'architettura come un palcoscenico, l'altro è quello secondo il quale è l'architettura ad usare il cinema, che poi è quello che io faccio nel mio lavoro. Dopo aver conosciuto Alfred Hitchcock, sono arrivato ad un'economia architettonica che prima non possedevo.
Wim Wenders: Noi due abbiamo una cosa in comune: le persone devono "abitare" le nostre creazioni, e questa è una bella responsabilità! Inoltre, sia il cinema che l'architettura, devono lasciare degli interstizi, degli spazi vuoti che permettano al fruitore di usare la fantasia, di completare il non-detto. Spesso i film, come gli edifici, sono costruiti senza aria, sono soffocanti, pieni, non lasciano spazio al respiro.
Massimiliano Fuksas: Infatti. In architettura già dagli Anni Ottanta esiste il concetto soprannominato "in between", che attribuisce valore maggiore al non-edificato, allo spazio vuoto. I film americani oggi sono "densi": basti pensare alla musica, che è continua, non lascia momenti di silenzio, nemmeno nei passaggi.
Derrida ha studiato a fondo il concetto di interpretazione e la costruzione del senso, cosa che andrebbe essere sempre legata all'etica: un artista deve chiedersi sempre perché fa ciò che fa, se ciò che fa è necessario e se restituisce qualcosa del concetto che c'è alla base. Non bisogna cercare soluzioni, dare risposte, ma essere critici.
Wim Wenders: Cosa investe un architetto in emozione?
Massimiliano Fuksas: Quello che investe un regista, cambiano solo i soggetti. Per me gli attori sono le persone che fruiranno dell'edificio, e io devo prevederne i movimenti, lo sguardo, i pensieri. Anche per questo per me hanno tanta importanza i materiali, per le sensazioni che restituiscono. Noi architetti abbiamo imparato questo proprio dal cinema.
Film come Guerre stellari hanno influenzato negativamente gli architetti negli Anni Ottanta, che pensavano che per costruire il futuro bisognasse doverosamente dargli connotati del passato (le spade laser, gli edifici, etc.). Per questo amo 2001: Odissea nello spazio, perché non ha bisogno di queste cose: è un concetto, non è una forma. La mia generazione di buoni architetti ha lavorato per distruggere la forma, di cui non me ne frega niente.
Wim Wenders: 2001: Odissea nello spazio è un film pieno di interstizi, l'avrò visto venti volte, e ogni volta vi scopro qualcosa di nuovo. Sono contento che la sua idea di architettura si rifaccia a Stanley Kubrick, grazie!
Massimiliano Fuksas: Non avrei potuto costruire alcune cose senza Kubrick, l'edificio di Vienna, per esempio.
Wim Wenders: Tornando al discorso precedente, la forma esiste nel cinema per scomparire, per veicolare un concetto, deve essere invisibile. Noi registi lavoriamo molto sulle forme, e anche con il tempo, perché in un film lo spazio è implicito.
Massimiliano Fuksas: Il problema infatti è proprio il rapporto tra il visibile e l'invisibile in un'opera.
Wim Wenders: Quando la forma impone se stessa è brutta. Spesso mi capita di dover lasciare da parte le migliori inquadrature perché il film funzioni. La forma di per sé non è emozionante, ma del resto non si può prescindere dalla forma, perché è ciò che tiene in rapporto visibile e invisibile. A volte, anzi, essa produce senso, qualcosa dell'ordine dell'invisibile.
Tornando al concetto iniziale che volevo esprimere, ovvero che il cinema nasce con la città, volevo dire che le metropoli sono luoghi che sottraggono tempo, il cinema è il veicolo che ci ricorda ciò che perdiamo.
Riguardo al cinema americano, non bisogna usare come criterio la qualità: c'è qualità anche nell'intrattenimento! C'è il grande intrattenimento, ci sono i blockbuster e poi c'è tanta spazzatura. Non si può semplificare tutto al bianco e al nero! Certo, posso pensare che la mia vita sarebbe migliore se non avessi visto La guerra dei mondi, ma comunque mi ha aiutato a dimenticare, che è sempre utile.
Di venti progetti che ho in mente, ne riesco a realizzare solo uno. E a volte i film che non ho fatto continuano a vivere e prendono corpo magari in una sola inquadratura. Nei miei film rimane quanto più spazio possibile, ed è proprio quello il mio vero lavoro. Il resto è struttura, architettura, appunto. Tutto ciò che non è necessario viene tagliato, per rivelare l'essenza.